Taranta: tradizione e psicologia

Se vi è capitato di passeggiare per i paesini del Salento, vi sarà anche successo, soprattutto in estate, di assistere alla manifestazione folkloristica della Taranta. Il Salento è famoso per questa “danza” che lo ha reso meta turistica ed il cui patrimonio culturale è riconosciuto a livello nazionale. Pochi però ne conoscono le origini ed il background culturale e sociale che ha permesso la sua nascita, oltre che il significato simbolico e le connessioni alla psicologia e alla psicopatologia.

Il fenomeno della Taranta, le cui origini sono ancora dubbie, ma di cui i primi studi risalgono agli anni ’50 del ‘900, è una patologia che colpiva donne e ragazze in seguito al morso di una Tarantola. Le manifestazioni cliniche, che assomigliavano molto alla vecchia isteria e che oggi potremmo associare al disturbo delirante, erano precedute da stato di malessere, spossatezza, depressione o catatonia e dolori articolari. Ai tempi, le “tarantolate” che mostravano i sintomi solo una volta l’anno, generalmente in estate, venivano coinvolte in rituali di esorcismo, allo scopo di liberarle dal veleno dell’insetto che le aveva lese. Tali rituali, avevano una scaletta ben precisa, coinvolgevano talvolta l’intero paese e potevano durare molti giorni.

L’interessante analisi del fenomeno pone l’attenzione ai sintomi, all’eziologia e alle “modalità terapeutiche” che venivano messe in atto. Si utilizzava la musica per risvegliare il veleno (in dialetto “scazzicare la taranta”), si utilizzavano i colori per identificare il tipo di ragno che aveva punto il soggetto e preghiere recitate come nenie che inducevano uno stato catartico, oppure portavano al culmine la crisi isterica durante la quale la donna colpita, si dimenava in una danza disorganizzata, presentando talvolta aggressività verso i presenti o atteggiamenti sessuali seduttivi all’epoca giudicati e stigmatizzati.

Oggi simili fenomeni hanno perso il loro vigore lasciando solo una meravigliosa tradizione folkloristica che non smette di affascinare. Tuttavia perché a quei tempi era così forte? Come si strutturava la società? E come mai le vittime erano solo donne?

Nell’epoca medievale, in cui il fenomeno si sviluppa, la società, prevalentemente contadina del Sud Italia aveva un forte “pensiero magico” condiviso. L’elemento caratterizzante questo pensiero era la “fascinazione”, ovvero la sottomissione a forze sconosciute che manipolavano il soggetto e ne limitavano l’autonomia. Ciò produceva nel malcapitato sentimenti di vuoto, depersonalizzazione e stato crepuscolare come si riscontra nei deliri di influenzamento. Era dunque una società rurale, che affrontava l’angoscia dell’ignoto e l’incertezza affidandosi al soprannaturale, che curava le malattie con metodi occulti (alcuni pochi designati credevano che la loro saliva fosse curativa), una società altamente suggestionabile, tendenze ancora oggi in parte riscontrabili.

Per capire come mai erano solo le donne ad essere colpite è utile osservare la struttura della famiglia allora. Si trattava di una famiglia patriarcale nel quale la posizione della donna era particolarmente difficile. Il suo ruolo era quello di portare a termine le gravidanze (molteplici in quanto i figli erano braccia lavoranti), occuparsi della prole e lavorare. Non c’era spazio per la vita sociale e non si riconoscevano alla donna bisogni affettivi o alcun potere decisionale. Vigeva un forte senso del pudore, il corpo e l’essere donna era castrato da una legge morale rigida.

La puntura del ragno avveniva quindi in un’età significativa nello sviluppo della donna, la fase adolescenziale, quando nuovi bisogni, nuovi impulsi emergono e la personalità subisce un assestamento identitario, ma quando anche, vulnerabilità, fragilità e traumi non compensati possono diventare causa di manifestazioni psicopatologiche di forte impatto.

Coerentemente con credenze di tipo magico, le donne e gli uomini del paese si riunivano per effettuare l’esorcismo. Gli uomini si recavano a casa della “tarantata” e costruendo un cerchio intorno a lei, iniziavano la tipica musica, la “Pizzica”, fino a suscitare nella donna, la folle danza. Si agitavano fazzoletti di vari colori, in base ai quali la donna reagiva con repulsione oppure sentendosi attratta e le donne recitavano in modo monotono le preghiere contenendo eventuali impulsi aggressivi.

Queste immagini dipingono una società che con i propri scarsi mezzi culturali, cerca di approcciarsi e curare quella che noi oggi definiamo la sofferenza mentale. Ciò che proponevano ai membri fragili della comunità potrebbe essere accostata alla moderna terapia di gruppo e, forse più precisamente, alla musicoterapia e alla cromoterapia. Simbolicamente, la Taranta, appare come il pretesto, l’evento scatenante il disagio psichico in soggetti che più di tutti hanno vissuto la traumaticità del sistema familiare e della struttura sociale dedita solo al dovere e giudicante.

Il Salento è oggi una terra colorata, viva e ricca di significati; ora che si conosce la storia si vedono dietro all’allegria, all’esuberanza, allo stare sempre in festa, connessioni alla sofferenza, al sacrificio e al dolore, ma si vedono anche la forza, quella che noi psicologi chiamiamo “Resilienza” ovvero quella capacità di usare gli strumenti di cui si dispone per far fronte alle difficoltà e promuovere il benessere.

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